Dopo il Kenya, tocca al Camerun, uno dei Paesi fino a ieri più stabili di tutto il continente, sprofondare in un nuovo abisso di violenza. Ma questa volta lo scippo elettorale non c’entra. Tanto meno l’odio etnico. È stata una giornata di sciopero contro il caro-petrolio e il progetto di riforma costituzionale del presidente Paul Biya, al potere dal 1982, a trasformare Douala e Yaoundé, due delle principali città del Paese, in sanguinosi campi da battaglia tra manifestanti e forze dell’ordine: 24 vittime e oltre 1500 arresti, secondo fonti ufficiali, oltre cento morti secondo una ong locale. Per capirne di più, abbiamo raccolto la testimonianza di Giovanni Carbone, docente di Scienza politica presso l’Università degli Studi Milano, giunto in Italia qualche giorno fa dopo un soggiorno di ricerche in Camerun durante il quale ha assistito all’esplosione della violenza.
Che cosa ha visto, Professore?
Nel week-end del 23-24 febbraio stavo a Douala, la città in cui le rivolte sono iniziate. Di morti e feriti non si sapeva ancora nulla. In giro, la gente ci raccomandava di stare attenti, ma nulla di più. Ho preso quindi il mio bus per Yaoundé, e soltanto dopo aver visto le carcasse di macchine incenerite sul viale centrale ho capito che qualcosa di grave stava accadendo.
Proprio a Yaoundé la crisi raggiunge il suo picco…
Tra il 26 e il 27 febbraio sono rimasto barricato nel mio albergo. Dopo Douala, la contestazione aveva contagiato le periferie di Yaoundé. Le strade erano deserte, uffici e negozi sono rimasti chiusi per 48 ore. Ancora una volta, nonostante le informazioni raccolte sulle radio internazionali e locali, non si riusciva a capire l’entità della crisi. So solo che dopo il discorso televisivo del presidente Biya il Paese è tornato alla calma.
Le rivolte in Camerun e Kenya, due Paesi considerati stabili fino a ieri, hanno qualche similitudine?
In Kenya le violenze sono esplose in seguito a un broglio elettorale assumendo i contorni di uno scontro etnico. In Camerun la rivolta contro il caro-petrolio ha invece dato sfogo a un malessere sociale molto diffuso. In entrambi i Paesi, la gente percepisce un sentimento di arroganza da parte di chi, come Biya e il suo omologo keniota Kibaki, non vuole lasciare il potere. In Africa la gente ormai pretende che le regole democratiche vengano rispettate.
fonte http://blog.panorama.it/mondo
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