I Bolloré del mondo, schiavisti del Terzo Millennio

giovedì 13 marzo 2008
di Giustiniano Rossi

Ricordate Vincent Bolloré, quello che prestò il suo yachtGame-Guide-Americas-Cup a Sarkozy perché facesse un giretto distensivo fino a Malta dopo le stressanti elezioni presidenziali francesi del 2007, lodato dal piccolo neo-presidente per essere diventato ricco grazie al suo duro lavoro?

Vincent Bolloré è evidentemente uno di quelli che, secondo la propaganda presidenziale, lavorano di più e, dunque, guadagnano di più: un esempio per tutti i francesi che desiderano migliorare le loro condizioni economiche facendo qualche ora di straordinario. Che Vincent Bolloré "guadagni di più" è verissimo, visto che la sua è una delle più grandi fortune di Francia; quanto a "lavorare di più" c'è una piccola modifica da fare: in realtà egli "fa lavorare di più" e qui di seguito raccontiamo come.

Nel sud-est del Camerun, a Kienké, ci sono 9.000 ettari di palme da olio della Società camerunese dei palmeti (Socapalm), filiale di un gruppo belga, Socfinal, di cui il 40% è proprietà del Bolloré, affiancato dal suo tradizionale partner, la famiglia belga Fabri. Ci sono stati negli ultimi mesi numerosi scioperi degli operai agricoli dei palmeti, per protestare contro le condizioni in cui vivono e lavorano. Albert è uno di loro. Taglia caschi di noci di palma sei giorni la settimana. Senza guanti, le palme delle sue mani sono arancioni come le noci che Socapalm trasforma in olio per cucinare. Ogni mattina si pigia con i suoi compagni e gli attrezzi nei camion scassati che vanno nella piantagione per caricare i caschi. La sera gli tocca farsi una quindicina di chilometri a piedi per rientrare in uno degli accampamenti riservati agli operai.

Guadagna 22 franchi Cfa per un casco da 15 kg, cioè circa 35000 franchi Cfa (53 euro) al mese, e può considerarsi fortunato: infatti quelli che tagliano i caschi da 10 kg guadagnano solo 8 franchi Cfa. Trattenute arbitrarie, ritardo nei pagamenti, nessuna assicurazione o assistenza medica: una situazione che assomiglia alla schiavitù (gli operai non possono lasciare la piantagione perché non ne hanno i mezzi e, comunque, le paghe sono sempre in ritardo) ed è gestita da una sessantina di società di subappalto. Socapalm riconosce che le paghe sono basse e versate in ritardo ma, sostiene, è così dappertutto e promette di ridurre della metà il numero delle ditte di subappalto. Come per il lavoro, così per l'abitazione: niente acqua, niente servizi, solo qualche ora di corrente nella baracca grigia e stretta dove Albert vive con la sua famiglia.

Qualche mese fa gli operai hanno fondato un sindacato e hanno eletto per dirigerlo Michael Agbor, che negli accampamenti è diventato un eroe ma per Socapalm è solo un volgare agitatore. In Camerun, dove i sindacati sono sistematicamente comprati, gli operai della piantagione sanno che l'intransigenza e la determinazione di Michael di fronte alle imprese di subappalto sono eccezionali. Quando è stato arrestato, gli operai hanno marciato fino a Kribi, dove lo aveva portato la polizia, scandendo "No Michael, no work". "Non abbiamo paura", dice Albert, "siamo tutti mobilitati". A Michael Agbor, uscito di prigione, i rappresentanti delle autorità camerunesi hanno fatto sapere che, se continua, sarà ucciso.

Tutto questo non avviene soltanto in Africa, in pieno XXI secolo, 150 anni dopo l'abolizione dello schiavismo, 50 dopo la fine del colonialismo, per permettere ai vari Bolloré di viaggiare in jet privato, fare crociere in yacht, prestandolo magari di tanto in tanto ai Sarkozy di turno, sostenendo senza vergogna che sono gli imprenditori i creatori della ricchezza, grazie al loro lavoro. Se ci si aggira per le campagne dell'Italia meridionale si possono incontrare migliaia di africani, ma anche di europei e asiatici, che lavorano nelle stesse condizioni, vivono in tuguri altrettanto sordidi, privi di servizi e di luce elettrica e sono pagati altrettanto poco e male perché i Bolloré italiani possano vantarsi di produrre la ricchezza nazionale. La sola differenza dagli operai camerunesi è che essi hanno pagato, indebitandosi e lasciando come garanzia la loro famiglia ai creditori, per arrivare a fare gli schiavi nell'Eldorado capitalista, più fortunati di quelli che sono morti durante il viaggio o che, risultati eccedentari, sono stati espulsi verso realtà analoghe a quella di Kienké.


fonte http://www.dazebao.org/

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